Mandala – parte seconda
Prese il rossetto, lo mise sulle labbra per sublimare il suo sorriso, poi con lo stesso disegnò sul pavimento un cerchio tanto grande da contenere i loro corpi stesi. Quello spazio così ben definito era il loro recinto sacro, tutte le bugie e tutte le verità, tutti i segreti sarebbero rimasti all’esterno… all’interno solo i corpi pronti al rituale tantrico. Soltanto una regola dettò la donna con voce sicura “non possiamo uscire dal cerchio per nessun motivo”. L’uomo fece si con la testa.
Lei disegnandolo, ferma al centro, ruotò come una girandola, lui, raccolto l’invito ad entrare, non ebbe più scampo. Erano stati adagiati per terra due cuscini. Lui si sedette, lei si inginocchiò dietro di lui ed iniziò a svestirlo. Le sue braccia lo cingevano da dietro, seta intrisa di veleno la sua pelle bianca. I bottoni della camicia cedettero, l’alito caldo e profumato di lei procurò una turbamento nell’uomo e le labbra cominciarono a pulsargli. Avrebbe voluto, ma non si fidava di lei, serpente a sonagli che inganna e uccide, le dava le spalle rendendosi vulnerabile al lato oscuro che la donna possedeva sotto i lunghi capelli biondi e gli occhi grandi da bambina curiosa e ingenua. Lo denudò. Gli sciolse i lunghi capelli e iniziò a spazzolarglieli, fissava quei fili di seta scuri e lucenti, ci si perdeva dentro cercando un tempo per sé, trovando nella regolarità della chioma quella coerenza di fondo che le mancava. Sapeva di essere un composto instabile e con reazioni imprevedibili. L’uomo trasalì quando il tocco di fece pesante, sentì gli aculei freddi e appuntiti della spazzola oltrepassare lo spessore inconsistente della chioma, trafiggendogli la pelle. Lui non poteva vederla ma era sicuro che sul suo volto si stava delineando un sorriso sadico e disperato. I movimenti lenti e ossessivi dall’alto verso il basso si ripetevano meccanici come preghiere sonnambule di una sterile litania, solo l’intento nel farsi sempre più penetrante era governato da lucida volontà. Lentamente la schiena dell’uomo fu segnata dai graffi provocati dallo scivolare del freddo acciaio appuntito. Eppure lei cercava di metterci un po’ d’amore, sapeva che doveva essere gentile col suo giocattolo rotto, in fin dei conti cercava solo un antidoto per non sentire il suo di dolore.
Ancestrale sottofondo che accomuna sangue blu e anime sgangherate. Affondò ancora con più forza i chiodi della spazzola quando le tornarono in mente scene macabre di storie sbagliate, impregnate di vischiosa infelicità. Lui sprofondava in quel supplizio al limite del piacere e della sofferenza. Poi lei si spostò e si sedette davanti a lui. Stesso rituale. I graffi sul torace virile e sul ventre molle, procurarono all’uomo profondi stimoli sensoriali. La pelle delicata della pancia arrossì velocemente. Pettinò la carne con sadica energia, poi pietosa leccò i graffi uno ad uno, lavando via la sua colpa e la sua gioia sgualdrina.
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