L’amore assassino-Thru shine/Uno scritto per i barbari

SCENA I
La notte.
Nella foresta oscura piangono gli alberi, piangono foglie. Nere cadono a terra. Come lacrime dagli occhi.
Due poeti e due ombre.
Una resta poggiata ad un albero, abbracciandolo. L’altra, piegata sulle ginocchia, stringe un’anima persa che dorme.

CORO
[composto da alberi parlanti, piangenti foglie per farsi coperta]
Intonano (di Nick Cave):
“O we will know, won’t we?
The stars will explode in the sky.
O but they don’t, do they?
Stars have their moment and then they die.”

Senza più cenere o ferri è il focolare, le fiabe sono fuggite inorridite dai guanciali impagliati. Ed il tavolo sparecchiato raccoglie i cocci. Dove sfioriva pochi attimi appena, e un tempo, quel vaso. Di crisantemi avvizziti. Trascinata a terra dagli straccali anneriti della Morte, una fanciulla livida di graffi schiaffi insulti. Il belviso deturpato, le mani strappate ai giochi i mille biglietti e l’indimostrato ingegno. Macabre sembianze di disgraziata barbona, straziante squallore inflitto dal delirio d’un’imberbe violenza. I vermi tra le dita e le unghie, radicate nel campo empio. Pelle neve, selciato di muffe. A grattare la lorda cuccia d’un futuro impossibile e un’arte bruciata viva. Come i capelli al miglior sogno, e ogni singolo Amore. Rappreso di sangue, risoluto alla luce. Riflesso rubino della rabbia fattasi nutrice. Perdono postumo per quanto sarebbe stato, dono minimo alle spine sulle corone offerte.
Lei si sveglia di soprassalto, sente freddo, ha un gusto strano in bocca, la bocca secca di sangue, avendo pianto, lacrime essiccate diramate come vene d’inchiostro ad incrostare le guance.
Gli occhi semiaperti, e il respiro corto e sempre più veloce.
Ed ha paura. E si chiede dove sia, quel luogo estraneo, si sente perduta.
Non riesce a ricordar nulla, solo ombre, poche stelle tra le nuvole. Riflettono una luce argentea sullo specchio nero d’acqua. Un lago, forse un lago, ne è quasi sicura.
Il vento ulula tra gli alberi, le fronde sbattono innervosite. Comincia a camminare e poi a correre verso lo specchio d’acqua ed intanto da est – Aurora dalle dita rosa -, stria di luce e colori teneri, le tenebre incollate alla sua anima.
L’anima.
Lo sguardo segue a ritmo la luce che si espande lenta e raggiunge quell’anfratto tra le rocce sotto la parete ripida srotolata dal viadotto.
Giace a terra un corpo inerme, sfigurato e pallido cadavere, dipinta di morte.
“Quella sono io!” Esclama. Si riconosce… “Sono morta!”
“Questa sono adesso, un’essenza un fantasma, credevo di poter vivere, ma non posso, non potrò più!” Piange e poi urla così forte che le poche stelle rimaste in cielo esplodono come lanterne cadute sulla strada.
La fanciulla – parea – quasi dormire in posizione fetale.
Di lei rimangono pochi oggetti sparsi intorno al corpo. Il ricordo del suo assassino. Sacchi neri, un cuscino di foglie.
“Non sono giunta qui con i miei passi” dice.
“Giungi presto luce, macchia e disperdi l’oscurità.”
Lei brilla forte, intensamente.
E’ un vigliacco, colui che l’ha uccisa, strappando alla vita una creatura dolce e gentile che cullava sogni e desideri acerbi ma possenti.
Aurora giunge, trascinando con se un sole freddo e lacrimoso, illuminando le acque buie, immobili, striate di colori tiepidi, annunciando un giorno nato morto.
Lei resta immobile con un blocco di ghiaccio nel cuore, alla vista di se stessa morta, del suo corpo straziato e del dolore subito. Piange ancora, poi strilla e sente la rabbia salire dal profondo, ma poi non vuole cedere al dolore e non desidera avvelenarsi il cuore, allora canta:
“Mi guardo ed ho le mani piccole, mani per disegnare i contorni dei miei desideri e colorare le mie fantasie.
Mi ricordo che spesso con le parole non riuscivo a spiegare ciò che provavo, con i disegni invece…
Avrei voluto semplicemente vivere.”

SCENA II
Lei appare davanti al suo assassino reprobo, nella cella.
Lo fissa e resta muta,
Vuole ascoltare la voce del suo carnefice.
L’assassino (tra sé e sé):
[ridendo nervosamente] “Quale peccato può essere mai addossato alla mia indigenza emotiva, molesti osservanti? Quali crimini alla mia nullaggine morale, scanzonati pettegoli? Credete profumi di scusa aver avuto per madre costei che ora si dispera e cruccia? Lasciava poppare fiera questa belva che sospirando v’abbaia, senza neanche un dente! Pensando sarei volato tra i grattacieli come solo un supereroe sa.” Viziato dalle vanitose vittorie. Aguzze come guglie di ciniglia su tegole d’ardesia. Educato al possesso. “Colui che dice di essermi padre ha marchiato a fuoco i vigliacchi brandelli che indosso. Di maschio invidioso, bugiardo, feroce. Ammalato di disordine. Eccomi ammanettato, giaccio muto appozzandomi nel fiume delle crudeltà, come riparo (sconosciuto ai miei) un nuraghe di teschi di bambina. E latte umano! E pane di segale!”
Lei risponde:
“Vengo a portarti in un posto, oggi ti indicherò la via ma domani non ci sarò non mi vedrai più e non sentirai mai più il suono della mia voce.
Ogni notte poi alla stessa ora ti ritroverai solo lì dove mi hai ammazzata, alla stessa ora davanti a quelle chiazze di sangue. E sarai solo e vivrai il mio dolore e quello che hai provocato con il tuo gesto a tutta l’umanità.”
Contrappasso.

AMBIENTAZIONE
Teatro dell’omicidio, Lago del cadavere/Carcere immaginario
MUSICA
Nick Cave&the Bad Seeds, The loom of the land