Canto Zero

Cantami, dimenticata e innominabile Musa dagli inferi compiti e tratti ma non il viso, d’argento la tua maschera agreste, le vicende di colui che Ulisse ed Enea per mare precedette. Quando il rame era oro e la talassocrazia sopravvissuta al Diluvio imperava sul Mediterraneo. Intercedi presso l’Apollo nero, che gli arcani Capenati e i valenti Falisci appellavano Sur. Che in processione portavano, con scalpi di lupo, sopra carboni ardenti a cingere il monte brullo, ora dimora del Santo. Tra i pozzi fumosi, scrigno primitivo delle olle votive e le interiora delle capre immolate. Arcaica Deità, vangatrice ripastinatrice aratrice solcatrice innestatrice erpicatrice sarchiatrice suroncatrice mietitrice adunatrice ripositrice porgitrice. T’invoco a sostenermi in questo obsoleto lavoro, o sorellastra di Clio la celebrante ed Euterpe la rallegrante e Talia la festeggiante e Melpomene la cantante e Tersicore la danzante ed Erato la bramante e Polimnia la inneggiante e Urania la celeste e Calliope l’elegiaca. Che il viaggio di ciascuno sia la mia stessa dimora, itinerante. Che si confondano le vicende del proto-Giasone con le mie, e i tempi e i destini. Il capanno della desolazione resterà intatto, la città dei morti senza un cero, la palafitta si costituirà tempio. Abbellirò con fiori d’ortica ed imbratterò di scene rupestri le lisce rughe delle ciclopiche spelonche. Riporterò alla luce i manufatti sepolti dalla storiografia ufficiale, rispolvererò le mappe perdute e i sentieri millenari dove il genio antenato tracciava linee incomprensibili o scalpellinava coppelle al sangue votivo. Osate dunque lo sguardo alle costellazioni, osannate illuminanti Andromeda e Cassiopea e Capricorno e Centauro e Idra e Orione e Orsa e Pegaso, non temete gli allucinanti bestiari marini, non deprecate divinatori gli oracoli della sibilla né deridete l’enigma della sfinge. Fatevi primordiali, da scrutare i sepolcri inviolati della vostra anima. Così agendo nel giardino degli imminenti versi troverete le lapidi scintillanti di tutte le poetesse suicide e le pittrici sconsiderate. Ogni sfera cosmica vi sembrerà un diamante, ogni lenzuolo steso ad asciugare una vela, ogni tappeto sbattuto sterminati prati di margherite. Come pure il mio irrequieto cuore un’Argo invisibile simile a L’oltretomba vitreo degli Iperborei, i sentimenti vissuti miriadi di betulle e remi, le passioni oceani indomabili ma diletti. Narrerò dei tormenti dei viaggi delle fortezze dei lutti e degli amori, inneggerò alle Divinità anche più oscure e trascurate, tesserò le gesta di miti eroine ed eroi, srotolerò le pergamene d’Alessandria nella cui Biblioteca dormiva il sapere più antico, ripristinerò i sacri cortei dei Numi. Chiedo scusa al lettore per l’onirico ed il surreale di cui approfitterò ma che tanto debito rimettono al teatro della vita e all’acronia delle umane vicende. Come pure il metafisico l’occulto il rivelato e l’esistenziale. Percorsi tribolati o frastagliati che vedono chiunque nocchiero in mari ignoti di cui trascuriamo coste fondali e amici approdi. Nessuna rotta programmabile o peripezia prevista. Bramosi di avventura, assenti dai nidi, impauriti per gli uragani, illusi dai miraggi. E i banchetti sontuosi e le figlie dei regnanti e i loro eserciti scintillanti. Orsù molliamo assieme gli ormeggi, insieme da impavidi navigheremo.