Onice e corallo

onice e corallo

La lira che imbracci,
sulle rocce spumate,
incita il vento a strapparti la tunica
ed ingoiare navi.
Un feto cadavere,
che penzola gelido,
a pizzicare corde sublimi.
Triste o morente
offri l’avido grembo,
poi l’arco livido del tuo piede nudo.
Ogni lacrima cristallo
per cinghiali furiosi
che asciugano sudati
l’idea liquida di battaglie epiche.
Fino a te porto fiori selvatici,
pane caldo e funghi commestibili.
Mi abbevero nel pozzo
arreso ai tuoi macabri digiuni.
Trina decapiti insetti
ma in mare rigetti le foche.
Nella notte rammenti
le stelle cadute
il cui cimitero,
alla più oscura appigliandoti, custodisci.

Le anime piangono, canticchiano, giocano.

I fiori di cera
drappeggio vermiglio
a recitar d’opera le commedie impazzite.
Un corteo di satiri, volpi e rane.
Mi seduci con ciambelle ed uva
estasiata mesci vino,
non ti dono che versi
né mi taglio o spremo che carni crude.
Una bilancia argentata la burrosa beltà
che dissangua gioiosa,
ad infiammare, quanto di dissoluto sbrana.
Bramando di te
baci inforchiamo
nella vertigine spalancata,
per la meno goduta delle tondezze.
Passione e sentimento
depongono armi
per ubriacarsi in nozze
ove leccare pelle
od accarezzare paure.
Trapasso trionfante
le bocche scambiate
di cani ribelli, come rose, appassiti.

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