Al calar delle tenebre, astri, aliti di luce furono gettati sul campo di battaglia, questo generò equilibrio e tutto fu definito e ciascuno partorì la propria ombra (e un unico destino). I-O e Sakuranbo sempre devoti alla bellezza, fermi, fronte al nemico, e ogni pensiero per l’amore e ogni pensiero per la spensierata giovinezza e ogni pensiero per la propria inettitudine e ogni pensiero per ogni calvario di ogni anima. Il nemico, orda, creature celesti, creature vermiglie, frutti decomposti di un’umanità completamente distrutta, orrendamente mutilata, spiriti esausti, aggressivi, mendicanti carezze, disillusi, vittoriosi, arpie sincere ingurgitarono denaro e altre feci.
Sakuranbo: “cosa intendi fare?”
I-O: “loro hanno più paura di noi!”
Sakuranbo: “quando gli angeli suoneranno le trombe Egli arriverà, come hai sognato, sai che il carro del sole è stato sottratto ad Apollo. Egli (il dio senza nome) ha sacrificato le proprie gambe per rubare il carro, adesso, carbonizzate e mummificate, coperte dalla toga gualcita, lebbrosa di sanguaccio e carne macinata e vermi ed ogni altro schifo… l’idra a sette teste tira il carro… hanno paura, ostentano sicurezza, ricamano tessuti logori e consunti.”
I-O: “in verità ti dico (se per verità intendiamo ogni qualsiasi punto allineato tra due punti di vista differenti e anche il non fugare i dubbi ma nutrirli)…”
Sakuranbo: “impara il silenzio, aspetta, ascolta senza agire, frena ogni impeto, trattieni la tua sofferenza, avvolgila nel manto della solitudine.”
Athena: “vi manderò una delle mie figlie, quando sarà il momento vi abbraccerà!”
I-O: “madre cosa ne sarà di me?”
Squillo di trombe e in quel cono d’angeli rovesciato verso una terra desolata e perduta comparve l’essere supremo.
Domandò con un tono sarcastico, fintamente rispettoso, (brevitudine calcolata) “cosa vuoi uomo?”
I-O: “Io mi chiamo I-O, sono giunto fin qui per distruggerti e per combattere la battaglia meno sacra di tutte, quella per la naturale esistenza.”
D-IO: “bene, sceglierò il campione per affrontare la tua stupida insolenza… idra (tuonò) “vomita dalle tue viscere, il mio angelo vendicatore, fai uscire Lei/Elle!”
Ci fu un lungo silenzio poi dopo il rigurgito del mostro, l’angelo Lei/Elle consumò il suo primo respiro.
Bellissima, pelle lucida color latte, affusolata, nervosa, fiera, e in un occhio il cielo e nell’altro il mare, e il viso da peccatrice ingenua e i capelli d’oro.
Solo che nuda meravigliosa e nuda, dalle mani di dita sottili, lasciò cadere in terra sangue rosso sangue, nessun velo.
Sakuranbo: “Maledizione, cominciamo malissimo! Cerca di stare calmo!”
I-O: “la rivestirò, l’ho già fatto una volta per una ragazza al bordello… mi ringraziò!”
Sakuranbo : “non mi sembra la stessa situazione… cerca di ragionare, poi si sta avvicinando levitando… fai attenzione!”
I_O: “passami il tuo mantello e anche la collana di -onice e corallo- che porti cinta al cuore… poi fidati di me… ho bisogno solo di fiducia.”
L’essere e non l’avere (se non potrò averti… io ti sarò)
Elle/Lei : “ho due voci per dialogare con te guerriero, una fredda e metallica e l’altra calda e sensuale. Quale scegli?”
I-O: “adoro la sensualità.”
Elle/Lei: “bene, ora ti ucciderò, non avrai scampo, ma potrai godere della mia bellezza e della mia sensualità per sessanta secondi. Tanto mi ci vuole per girare intorno a te dieci volte, prima di eliminarti.”
I-O: “perderai, tra l’altro dalle mie mani sta sgorgando inchiostro nero. Ti dipingerò il corpo, la tua rabbia si placherà… e sulla tua schiena dove mai potrai vedere e leggere scriverò la poesia d’amore più potente mai creata da uomo o da dio.”
Elle/Lei: “cominciamo allora… primo giro… prima domanda… ti piaccio, mi desideri?”
I-O: “desidero la tua felicità, t’immagino libera, forse, così, per te potrei anche perdere la testa, ma non mi piaci nel presente, giochi un ruolo che non ti appartiene.”
[…]
Natura
Queste visioni atrocemente cupe, intossicarono mente e corpo.
Il limite del bosco, costellazioni di fiori di campo, erba alta, le creste di gallo.
Adoravo passeggiare nella ‘macchia’ da ragazzo con il mio labrador, rispettava il mio silenzio, mi divertivo.
Mi piacevano le violette, mettevo lo stelo in bocca, avevo un bastone di legno di ginepro.
I prati silenziosi, un vecchio casale abbandonato, rudere, mura spesse, tetto crollato, vecchie travi di castagno, coppi e tegole di terracotta, avevano rubato il cancello del viale della tenuta (l’ho rubato io).
Il cane abbaiò, un istrice, io corsi.
Non accadde nulla.
Non deve sempre e per forza accadere qualcosa, mi sedetti e lui si sdraiò, restammo sul prato. Bevemmo acqua.
Avrei potuto portare un aquilone acrobatico.
Ma non volevo fare niente.
Non bisogna per forza fare qualcosa.
Osservai il paesaggio, nessun conflitto, giurato a me stesso qualcosa non mi ricordo cosa.
Non bisogna per forza ricordarsi tutto.
Ci guardammo e ripartimmo e misurammo, nè i passi nè il tempo.
Blessure
Sotto i palazzi, ‘sentinelle’ per la polizia, vite morte. Tossici. Meravigliosi e sinceri, audaci umanoidi dagli occhi bui. Demoni casti e puri, divisi per fila.
Frenetici spacciatori, dosi alchemiche. Perle di plastica ripiene d’avorio in polvere.
Premura.
La mattina quando mi sveglio spalanco la finestra che da sull’oceano, respiro, la sensazione dell’aria che mi carezza il viso. Non potrei farne a meno.
Sorrido e penso:
“certo non conosco il mio prossimo amore, ma dovrà sicuramente avere una passione speciale per le finestre che si aprono sull’oceano.”
Annaffio le mie piante, do da mangiare ai miei animali, e poi partorisco dalla mente un mostro che popolerà incubi e vivrà in maniera insulsa e potente: il mio I-O.