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Capitolo primo -JACQUELINE-

Barbarica è la procreazione artificiale, la ferita inferta alla Terra dall’aratro sepolto, sacri i riti delle sue fondazioni. Vacca e bue, dualità degli archetipi. La gemella Jacqueline ha un viso livido, le ballerine di seta per dormire, una lunga treccia corvina a toccare il pavimento. Odora di lavanda, la sua pelle: more/miste a cera.
Il sudore incenso. Milioni di api le portano doni, il corsetto è un bouquet di 1000 fiori ad ago e filo, diligentemente pensati per rassicurare chiunque ignori la sua cupidigia carnale. Fin da fanciulla ha deposto la morale dei pedanti sull’altare delle bambole, affogando i ricordi nella pozzanghera d’una verginità violata o barattata. […] Adora svestirsi dei colori per ergersi davanti a lui: Vestale nera, sandalo Romano antico. Candele, ed arazzi a coprire l’oblio (affollato dei predecessori). Elargisce ordini, pretende devozione. Lo vuole nudo, muto, eccitato. Eretto oppure stramazzato. Preferisce la saliva allo sperma, la fustigazione alle carezze. Nessun atto, solo ubbidienza. Compulsiva ma tenerissima. Ad ogni colpo il suo alito sul collo e frasi silenti. Sospiri. Dopotutto spogliarsi anzi immolarsi, senza poterla baciare, lo disintossica dal meretricio. Vecchie signore ingioiellate che fumano tabacco e contano carte. Contenuto anziché forma, sabbia senza stelle, serpenti squoiati. Intrecciarsi al destino di una giovane padrona gli ricuce le labbra, imponendo sulle mani gli scettri di Regine morte in mare. Biglie unte dei loro spruzzi: minuscoli laghi, fino alle lacrime e i castelli.
Scrivere forse è un ricamo di Yoga, seppur rotolato in avanti di secoli. Ogni, singola, liturgia di disumana sapienza. Govoni di papaveri e tele sfregiate. Dee mendicanti. Accettare e sopravvivere al dolore fisico lo guarisce dal ricordo di quello emotivo. Qualunque aspetto della sessualità può ridursi, secondo la sua esperienza, ai ruoli di dominante o sottomesso. Nella sua mente chiavare è usurpazione, manipolazione, contaminazione, idealizzazione, dipendenza. L’insana adorazione paradossalmente lo affranca dalla burrasca. Dalle tentazioni inconfessate. Quasi come bere sangue e deliziarsene perché scambiato per vino. Nodosi tralci selvaggi strangolati dai rovi. Inginocchiato colle mani dietro la schiena prostra la nuca per lasciarsi bendare con un collant. Lei gli intima di sdraiarsi sul fianco poi lo lega meticolosamente partendo dalle gambe, una corda tesa unisce collo e caviglie. Infine lo slip ancora umido ad ostruire la bocca. Un senso di impotenza e soffocamento lo spaventa, la possibilità di una fine atroce. L’immobile cecità cerchia una morsa alla quale resistere. Soltanto allora inizia il canto, versi misti a note: sirene mummificate, attici infestati e il suo piede a schiacciargli la tempia e parte del bulbo oculare. L’obolo d’argento addentato gli viene appoggiato sull’avambraccio, un marchio di possesso ad un costo adeguato per tanta bellezza. Nessuna fortuna può alleggerirlo del Mondo, alcun titolo riuscirebbe a cancellarne la Storia – per inverso, in trappola da lei è tutto ciò che ama. Dettagliatamente ama. “Disperamente”. Ama.

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