Vertigine

Bevvi la grappa la prima volta da ragazzo e sedevo alla destra del padre. Questa catapulta si chiama memoria. Tu eri molto bella e forse ancor oggi lo sei. Ero attraversato da un buon sentimento, non pensavo ai vulcani eruttanti. C’è un grande amore, il padre fa sedere la figlia sulle proprie ginocchia e le gratta la schiena, protezione, tenerezza, non sospettammo dell’esistenza della rabbia quel giorno, non ci furono occhi arrossati dal pianto. Vissi così sospeso, amai ogni suo capello nero e ogni centimetro di pelle bianca. Io ed il mio fedele amico accettati entrambi alla mensa, tutti alla destra del padre. Non piove ora. Stagna il silenzio, è vero la solitudine ha un effetto narcotico. Facemmo lunghe passeggiate a piedi e in motorino, contammo le notti, aspettavamo che passasse il giorno sempre troppo lento per avere per noi la notte. Creai e saccheggiai, l’oggetto fu “dolcissima creatura”. Accanto a me, nessun indizio valido a determinare lo scorrere del tempo: ignaro avanzai con te distruggendo molecole di felicità. Ci insegnano che la solitudine evoca tristezza e rassegnazione, non è così! Cosa cerchi? Contai le notti con te ed erano una più bella dell’altra. Non contenti usammo anche il sole, usammo l’universo come un tagata’, io non consapevole cercavo di perderti per restare solo e raschiare il fondo nel mio primo secchio, avendo per unico specchio una bacinella piena d’acqua. L’acqua è il mio elemento, non è certo il fuoco. Il vulcano che eruttava da 200.000 anni aveva già un nome anche se noi non lo conoscevamo. Ero veramente innamorato, pieno d’ispirazione. Adesso no, cammino come Ken Shiro nel deserto. [incompleto] Fresco e bambinesco, mi piace!

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