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Capitolo terzo -JAUDETTE-

Dal pascolo dei capri (che Tespi sgozzò come trofeo degli ingannatori scenici) al battistero delle antiletizie non più goliardiche nè ingorde ma penitenti, saltellava infante Jaudette. E ridacchiava sui vizi dello zio mentre, in tunica viola, si masturbava davanti al nudo della prostituta redenta. Crescendo abbandona la giostra del giubilo silvestre per le sottane rubate dall’armadio delle educande. E i merletti, la cuffia, un pube crespo.
Poi voragini di scoli separati per scopo e direzione. La veneranda Madre accendeva ceri perchè Pandora evitasse l’arsenico e rendesse le sciagure un’abitudine umana. 700 barattoli di ogni forma capienza e peso, stipatovi l’intimo delle espulse per sodomia fuxia. Gelsomini in polline, tra vaniglia e limone l’orinale di Nietzsche: quale orto incolto, ammuffiti i cesti e dentro gusci di lumache vuoti. [Sadico è colui che attraverso gli altri si autopunisce. Masochista chi si genuflette sul Golgota per evitarlo allo smidollato. E’ la mania del controllo ad averli arruolati, gestito oppure delegato. Oltre la sessualità canonica, ingerita per pozione ad incutere vergogna, troviamo tundre desolate che manicheismo e monogamia rifiutano-lapidano-celano. Schernimento per endovena. Ma l’unica paraphilia è il possesso, credere che il bene dell’altro fotocopi il nostro invece di accettarlo e goderne assieme. Assurdo pensare ancora che le donne siano fienagioni da immagazzinare. Il delirio macista della protezione. Copulazione ad eredità preventiva. Possono, in esclusiva, noleggiare il proprio corpo. Facendo a meno della libbra di carne o dell’espianto di organi limpidi e incorrotti come Cherubini. I cuori discariche.]
Lui le si appropinqua strisciante, tra il disordine voluto della camera. Trucchi, cappello e scarponi sulla seggiola. Coperte, gonne e borsa sopra la cassapanca. Collane, anelli e bracciale sui comodini.
Adopera fruste, come un domatore di anime su trampoli di ossidiana cosmati nell’abside degli infelici.
Corde, parrucche e cuscino sul tappeto. Indaco. Gli viene ordinato di distendersi capovolto tra il letto disfatto, le infila le pantofole dopo aver mordicchiato ciascun tallone e timbrato i tendini.
Lo smalto è bordeaux, come verde il deicidio che derubrichiamo a ecocidio. La patrizia e l’istrione, ammaestrato a testare gli escrementi, defaticare la cifosi, disinfettare le ferite da cilicio. Non possiede che un fazzoletto ad occultare la cicatrice da flagello, sotto il mento. E’ bionda platino, talvolta cenere, fendente e ferita di se medesima fintanto provi a vivisezionarne la matrice orfica. Che ripudia e sposa, carceriera apprezzata prima ancora insegnante di galateo per neofiti pederasti. “Sbaciucchiami l’ascella del braccio graffiato. Fallo lentamente. Non lesinare fiato. Non ammutolire il gemito”. Convertirlo alle libagioni fisiologiche è stato arduo ma non come condurlo per mano sin dove accartocciava il presepe rammendato dei pezzenti. Vassoi di patate e zucca nella cocotte caramello a farcire il petto d’anatra, una processione di paggi arancioni per stenderla con asciugamani pregiati. Poi imbandirne di balsami Siriani i glutei sodi.
[Monti marittini che lui conoscendo risaliva dopo essersi sfamato alla taverna dei cigni neri.]
Tutta la bellezza sopportabile collassava d’improvviso, cigolante la bascola annuncia il Marchese d’Y. […]
Sua grazia compare (macabra epifania di insetti) ad ogni crepuscolo feriale purché non vi sia plenilunio, il cocchio somiglia in cadenza a quelli funebri, come trasportasse avieri mutilati o qualche cucciolo bicefalo d’uomo. Ma a trainarlo sono delle alci. Sui corni vernice bluastra, ed alcuna scorta brava: solo archibugi alla rinfusa nel baule posteriore. Arnesi affilati dell’Inquisizione Spagnola. Il soprabito di cammello copre la camicia antracite ma non il fiocco scarlatto o gli zuavi di fine Damasco. Nessuno potrebbe imbrattare il costume scendendo i gradini più oscuri del proprio animo […] semmai elevarsi, un bordello diventa così biblioteca e ogni lurida, indecente, pur tenerissima pulsione, paragrafo di saggezza.
Articolata la lista delle perversioni, nel taccuino di pergamena (per capitoli) le pedomanie. Pretende in pasto le sguattere della cucina, ripulite a dovere. Debbono vestire come si tenga una cerimonia religiosa in onore della prole alla vigilia dei cresimanti. Rifiutarsi equivarrebbe ad una sedizione sessuale, il contrappasso sarebbe spietato ed uno spettacolo circense per felidi feroci. Bestiario di cacce indiscriminate con retini per farfalle servitù dispersa ed il tocco da sciabola, fluorescente il luccichio come elmi arringati in oricalco. Ubriachi d’assenzio (spavaldi o depressi) vivacchiamo vittime di noi stessi, aguzzini guerci che disconoscono Omero e il non-canto degli errati lidi eretti a palazzi di consolazione. Tra stagni e ninfee viene consumata la mattanza, al grughio delle tortore o al trillar dell’usignolo una rapsodia satanica per nobili incapaci di eccidi rituali.
Tutta la bellezza un lazzaretto, brefotrofi le latrine.[…]

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